Città interessante, città curiosa, conosciuta non tanto per le bellezze
artistiche quanto e soprattutto per l’area industriale sorta e sviluppatasi
negli ultimi decenni e per la strana indole dei suoi cittadini, notoriamente
schivi e ritrosi, poco dediti a mostrarsi, ad imporsi. Degli aretini se ne
dicono di tutti i colori, ma sempre piuttosto bonariamente, anzi, diciamo pure
che il loro particolare temperamento suscettibile e talvolta superbo è così
proverbiale da meritare attenzione quanto le opere d’arte contenute nella città…insomma
sembra che la fama dei cittadini di Arezzo preceda quella meritata di bella città.
Tutto
questo per scherzare ovviamente, ma soprattutto per sottolineare quanto uomini e
città possano somigliarsi: Arezzo è infatti una città che pur di non esibirsi
ha rinunciato spesso ad innovarsi e a rinnovarsi, a cambiare pelle anche quando
ne ha avuto l’occasione, come nel dopoguerra, quando fu riedificata tale e
quale era stata prima dei bombardamenti.
Come
gran parte delle città e cittadine toscane
anche Arezzo testimonia nel suo territorio la presenza di insediamenti estruschi
a partire dal VI sec. a. C., e dai ritrovamenti di quel periodo si scopre che
fosse un centro piuttosto importante insieme a Chiusi, Volterra Roselle. Durante
il V sec. a. C. era una delle città-stato etrusche principali e fino al III
sec. visse une dei periodi di massimo splendore, per poi continuare la sua
crescita sotto il dominio romano quando divenne un importante avamposto per la
conquista dell’Etruria, nonché grande produttrice di materiale bellico.
La
decadenza della città cominciò intorno al II sec. d. C. quando diminuì
sensibilmente la produzione delle ceramiche a rilievo per cui Arezzo era stata
tanto conosciuta ed apprezzata, fino
ad essere esclusa dal una delle linee principali di comunicazione in
rifacimento, ossia la Cassia che collegò direttamente Firenze e Chiusi.
Guidata
nei primi decenni dell’anno 1000 dai vescovi-conti che persero autorità con
l’avvento del libero Comune aretino, la città cominciò ad accrescere di
dimensioni e a veder rafforzare il legame fra l’autorità civile e quella
religiosa: testimonianza splendida ne è tuttora la Pieve di Santa Maria
Assunta, costruita a ridosso delle mura medievali e della Platea Communis,
cioè la piazza del mercato.
Proprio
intorno alla metà del XII secolo essa fu ampliata
e rinnovata perché competesse con il Duomo, fu ricostruita a tre navate e
decorata nella facciata e nell’abside con logge sovrapposte ed arcate: oggi la
chiesa si presenta come uno degli esempi più riusciti di fusione
romanico-gotica. All’interno un bellissimo polittico di Pitero Lorenzetti. La
torre campanaria che le si eleva a fianco è considerata quasi il simpolo di
Arezzo.
Nel 1200
il Comune aretino aveva ormai raggiunto una completa autonomia e la città stava
divenendo un centro culturale e artistico di prim’ordine: di quegli anni sono
il crocifisso su tavola conservato nella Pieve, quello conservato nella
bellissima chiesa di San Francesco, le opere del margaritone ed il Crocifisso di
Cimabue situato all’interno di San Domenico. E sempre a quel periodo risale la
costruzione della maggiorparte degli edifici religiosi aretini di maggior pregio
artistico, nonché il Palazzo Comunale e quello del Popolo,
purtroppo entrambi abbattuti. L’attuale Palazzo del Comune o dei Priori
fu eretto nel 1333 ed è una costruzione severa in pietra con due ordini di
finestre ed una grande torre quadrangolare di lato.
La Chiesa
di San Francesco è la prima a meritare una visita, non fosse che per
assistere all’esposizione del capolavoro recentemente restaurato di Piero
della Francesca, ossia il ciclo di affreschi de “La Leggenda della Croce”.
La facciata spoglia e l’ampio interno ad una sola navata ricalcano i moduli
iconografici delle costruzioni francescane. E poi la Chiesa di San
Domenico con un’unica e luminosa navata centrale coperta dal tetto a
capriate, anch’essa espressione severa dell’edilizia conventuale ed in cui
è custodito il noto Crocifisso di Cimabue; la Chiesa di Sant’Agostino
dall’impianto gotico a tre navate, la facciata severa e il poderoso campanile.
Ma
l’espressione più autentica di Arezzo è forse rappresentata
dall’architettura palagica privata: Palazzo Altucci, la casa di Bigo
Albergotti, il Palazzo Lodomeri Camaiani, quello dei Sinigardi il palagetto
Palliani situato all’interno di quello Comunale, sono tutti esempi della
edilizia voluta dalla borghesia mercantesca, tutte costruzioni in pietra, con
ampie aperture alla base e vari ordini di finestre ai livelli superiori.
Alcune
delle opere più significative dello sviluppo artistico di Arezzo sono
attualmente conservate nella Pinacoteca Comunale e nel Museo d’Arte
Medievale, con sede all’interno del bel Palazzo della Dogana: qui si
possono ammirare i capolavori dei Della Robbia, del Sansovino, di Bartolomeo
della Gatta, del Vasari; molte altre opere si scoprono invece fuori dalle mura
museali, cioè nelle loro sedi originarie: per esempio si scoprono nel Duomo
le stupende vetrate del francese Guglielmo di Marcillat, gli affreschi di scuola
senese, l’Arca di San Donato, opera marmorea di vari autori trecenteschi che
la scolpirono mirabilmente con ricche decorazioni di guglie e pinnacoli
tipicamente gotici; e poi le opere
di Giorgio Vasari, celeberrimo nativo di Arezzo, che eseguì una lunga serie di
integrazioni ed interventi alle principali chiese cittadine, nonché il disegno
delle Logge di Piazza Grande.